domenica 7 luglio 2013

Sociologia multimediale: appunti su limiti e possibilità del web per argomentare, resistere e combattere!

"Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell'umanità." Pierre Levy

A quasi 50 anni dalla pubblicazione del saggio di Umberto Eco la distinzione Apocalittici e integrati si presenta ancora come un ottimo punto di partenza per studiare l'evoluzione portata dai media digitali nella comunicazione, ovviamente cercando un superamento di questa dicotomia. Prima di vedere come le visioni di internet utopiche e distopiche debbano essere abbandonate in favore di sfaccettature e rivalutazioni dell'azione umana, voglio stilare una lista dei concetti appresi durante la preparazione dell'esame di Sociologia multimediale. Che esame sui media digitali sarebbe senza riportare dal libro a internet le informazioni e gli stimoli ricevuti?


La seguente presentazione sarà un pò schematica come in genere sono i miei appunti: schizzi, tracce di informazioni che, dopo qualche bella dormita, si trasformano in nuove idee e nuove storie da raccontare.

Gli appunti provengono dalla lettura di "Introduzione ai media digitali" (Il Mulino) di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti.

"Per gli apocalittici le nuove tecnoloigie mediatiche tendono a sovvertire i valori tradizionali, alienare le persone l'una dall'altra e generare solitudine e stupidità. Gli integrati invece vedono le nuove tecnologie come un passo verso una modernità radiosa che contiene la promessa di risolvere i problemi dell'umanità".

Ma come stanno davvero le cose? Sappiamo che la verità non sta mai da una sola parte ma per sua natura ogni cosa esistente al mondo contiene sia aspetti negativi che positivi.

Per farsi un'idea bisogna interrogarsi su cosa c'era prima e cosa è cambiato con l'introduzione dei media digitali.

Chiarimento importante sulla terminologia: non si utilizzerà "nuovi media" ma "media digitali" in quanto non sostituiscono i vecchi media ma li integrano e li modificano (proprio come YouTube con la televisione).

Per capire le recenti trasformazioni della nostra società è fondamentale comprendere il passaggio ad una economia dell'informazione in cui "la produzione di valore si sposta dalla produzione di beni materiali alla produzione di beni immateriali". Le fabbriche ed i macchinari lasciano il posto a brand e brevetti, mentre la proprietà privata si traduce in proprietà intellettuale (copyright) e fortunatamente anche copyleft (Creative Commons). Il conflitto sociale, alla luce di questo nuovo assetto della società, si modifica o meglio si sposta. Non assistiamo più al conflitto di classe fra capitale e lavoro ma il conflitto è tra chi accede ai flussi informativi e chi ne è escluso (Castells).

Partiamo dal presupposto che le tecnologie non sono neutrali e la comunicazione è fortemente vincolata al tipo di piattaforma che la ospita: dal blog al social network, nessun messaggio è totalmente libero ma è influenzato dai limiti e dalle possibilità del mezzo.

Quindi "il medium è il messaggio" (McLuhan) e il significato di una comunicazione è determinato dalla tecnologia mediatica. Ma esiste un ma che non possiamo ignorare altrimenti rischieremmo di appiattire la realtà: le tecnologie sono usate in modo diverso e per scopi sociali diversi da attori sociali differenti! E qui abbiamo quasi risporto ad Eco quando ci parlava di Apocalittici ed integrati.

Ma forse qualcuno obietterà che siamo di nuovo nel campo dell'ottimismo sfrenato. Ok, riflettiamo allora sul determinismo tecnologico! E purtroppo con me spuntarla non è facile perché sono un'antropologa senza possibilità di guarire dall'indeterminazione, maniaca della decostruzione, ostile a qualsiasi visione totalizzante e riduzionista, sia essa positiva che negativa.

DETERMINISMO TECNOLOGICO

Il rapporto tra uomo e tecnologia non è solo un aspetto della nostra cultura: a pensarci bene è la nostra cultura (intendo la cultura umana). Ma quanto ha potere l'uno nei confronti dell'altro?

Se fosse un discorso a senso unico oggi saremmo in un'algocrazia ma come scrive Nicola Villa si tratta di individui che delegano "agli algoritmi, fatti da altri individui, la costruzione di legami di senso tra le cose." L'individuo non scompare ma ha nuovi strumenti: certo nemmeno un determinismo sociale potrebbe essere la corretta soluzione. Come quando finisce una storia d'amore: non è stata né tutta colpa di lei, né tutta colpa di lui.

Sembra più utile ragionare allora in termini di "costruzione sociale" e "coproduzione": tecnologia e socialità sono strettamente connesse e i media digitali non sono altro che un'altra tappa di questo antico percorso.

ONLINE E OFFLINE

Ciao sono Anna e come nickname faccio Laseomante.

Il recente affermarsi del passaggio dal nickname al nome reale riflette l'accettazione dell'esistenza di una continuità tra mondo online e mondo offline.

Credo che allontanarsi da quello che si è sia veramente difficile ed ogni trasformazione altro non è che un ritorno ad un se stesso un pò diverso ma sempre autentico, più autentico (perché "ora"). Non ho paura di perdermi nella rete così come non ho paura di cambiare: la paura è cattiva consigliera e chi non cambia difficilmente troverà se stesso. Sarà bello tornare fra qualche anno a leggere questo post e vedere come le vecchie convinzioni avranno lasciato il posto alle nuove!

Se la tecnologia non è neutra (con le dovute precisazioni sul determinismo tecnologico) allora è impossibile pensare che l'online non sia strettamente connesso con l'offline. Le identità che costruiamo nella rete hanno un effetto reale sulle relazioni sociali. Da migrante digitale posso vedere più facilmente come la mia identità online abbia nel tempo contribuito a modellare la mia esperienza offline, fino a prendere totalmente coscienza dell'indistinzione tra le due. Per un nativo digitale invece sarà più difficile: si troverà già totalmente immerso in una rete sociale profondamente (se non totalmente) influenzata da internet: assistiamo a nuove ed impensabili forme di socialità e di costruzione di identità.

Il web porta l'antropologia dal "lavoro sul campo" al "lavoro sul web" e sempre più spesso si assiste all'utilizzo dell'etnografia (digitale) come metodo di ricerca sociale sul web.

Si impongono diversi metodi di ricerca sociale:
  • BIG DATA
  • NETWORK ANALYSIS
  • ANALISI SEMANTICA
  • ETNOGRAFIA DIGITALE
Cosa ne sarà dei nativi digitali? Li vedremo sprofondare nel più completo isolamento sociale (tecnopessimismo) oppure saranno capaci, attraverso internet, di ampliare e diversificare le proprie reti?

I nativi digitali saranno degli individualisti in rete e sapranno vincere la sfida di Internet soltanto se trasformeranno l'azione connettiva in azione collettiva. Ma questa è un'altra storia che riprenderemo (forse) più in là.

NETWORKED INDIVIDUALISM

Hey tu! Dove ti trovi? Fra te e un altro nodo nella rete, al mio posto nel flusso di comunicazione.

Insomma questa è l'immagine che mi viene in mente: oggi "tutti" (ovviamente chi ha accesso alla rete) possediamo un angolino virtuale dove la nostra individualità prospera protetta ma allo stesso tempo connessa, a distanza di pochi bit, con le individualità di tutto il mondo.

Prendo in prestito da Linkiesta:
Le tecnologie digitali non stanno uccidendo la socialità e non sono sistemi che portano all’isolamento sociale. A questa conclusione sono giunti Lee Rainie e Berry Wellman nel volume “Networked: The New Social Operating System” [...] le tecnologie digitali sono incorporate nella vita sociale degli individui e li aiutano a connettersi in rete oltre le logiche di gruppo e di socialità legata al territorio che si sperimentavano in passato.
Quindi se abbiamo cominciato questa riflessione con l'introduzione del concetto di "economia dell'informazione" fondata su risorse intangibili, ecco che qui sciogliamo un altro nodo. L'immaterialità permette di rimuovere le barriere fisiche ed inaugurare la cultura della partecipazione, la peer production, una produzione orizzontale dove le gerarchie possono essere, se non sovvertite, almeno riprogrammate. Nuove concezioni di potere si fanno largo in questo panorama.

AUTOCOMUNICAZIONE DI MASSA

Non pronunciare il web 2.0 invano!

Il web collaborativo non è solo una questione tecnologica ma è l'esperimento più interessante nato nella società dell'informazione (figlia dell'economia dell'informazione). Prima di Internet la coproduzione culturale avveniva necessariamente nello stesso spazio e nello stesso tempo: oggi i media digitali hanno determinato il superamento di questi confini. Certo rimane sempre il digital divide ma per adesso lasciamolo da parte.

I mass media devono oggi fare i conti con l'autocomunicazione di massa (Castells), con un nuovo pubblico attivo che "produce, consuma, crea" (rivisitando, se mi è permesso, il famoso slogan dei CCCP: produci, consuma, crepa!). Siamo nell'epoca della disintermediazione.

L'animale sociale oggi è un Prosumer: questa definizione mi sembra un pò sterile ma attualmente ha ricevuto il pieno favore dalla sociologia della comunicazione e quindi ce la teniamo. Il pubblico è allo stesso tempo redattore e fruitore dell'informazione: pensiamo ai pubblici attivi e connessi di Twitter. Considerato invece il dominio incontrastato della televisione negli ultimi 50 anni, il prosumer d'eccezione è sicuramente lo YouTuber. Ma gli esempi potrebbero non finire mai: dal citizen journalism ai sistemi di recensioni, ai blog e le tecnologie di sviluppo. Pensate al lavoro del programmatore web, il vero artigiano, colui il quale non si limita a scrivere ma è capace di fare e disfare i supporti che contengono le nostre produzioni culturali.

Tutto molto bello ma c'è un ma anche qui. Le imprese di fronte a questo come si comportano?

Tiziana Terranova introduce sul web il concetto di sfruttamento riflettendo su come Amazon, Facebook, le piattaforme di blog e gli altri servizi che sono entrati nelle nostre routine mediatiche in realtà sfruttino la collaborazione degli utenti per fare profitti. Insomma torniamo sempre al punto di prima: ci sono pallini verdi ma anche pallini rossi. Un campo minato e non è nella mia volontà bonificarlo interamente così come dichiarare l'assoluta impossibilità di calpestare il terreno senza esplodere.

"I nuovi intermediari della rete sono spesso imprese commerciali votate al profitto e che quindi non sono neutrali ma esprimono precise visioni del mondo, valori, interessi" proprio come i media tradizionali.

SFERA PUBBLICA NUOVA, SFERA PUBBLICA VECCHIA

L'animale sociale votato al prosumerismo di cui parlavamo poco fa e tutti questi nuovi luoghi separati dal tempo e dallo spazio, sono importanti perché ci catapultano in una nuova sfera pubblica. Ecco che l'online influenza l'offline, altroché! Se vi sembravano troppo astratti i discorsi sull'identità in rete e le nuove forme di socialità, ecco che la sfera pubblica ci riporta con i piedi per terra.

Uno schemino semplice semplice per fare qualche salto mentale utile da ricordare:

La tecnologia digitale ha permesso la società dell'informazione che ha trasformato politica e sistema dei media creando una nuova sfera pubblica dove il potere non è più legato alla produzione materiale ma alla gestione del sapere e dell'informazione, sia come produzione che circolazione. I cancelli (se vogliamo "ghetti") non sono più fisici ma digitali. Il gatekeeping, il potere di selezionare le informazioni pubbliche (Wikileaks, censura di Google in Cina) è il nuovo potere politico. Non che non lo fosse anche prima ma adesso, con la partecipazione del pubblico alla produzione dell'informazione, questo meccanismo è tanto più nascosto quanto potente (quanto affascinante da studiare seppure assistiamo alle terribili conseguenze che ha sulle vite umane, decretando anche la vita o la morte).

Se il digital divide traduce la discriminazione tra chi ha accesso alla rete e chi non ce l'ha, escludendo di fatto dalla Storia chi non "possiede l'informazione", è semplice immaginare come la misura in cui si riesce ad esercitare il gatekeeping sia uno dei fattori che determinano la potenza di uno stato, di una multinazionale, di un'organizzazione sovranazionale ma anche di un singolo (il famoso e forse anche un pò abusato "influencer").

La sfera pubblica generata dai media digitali è piena di vicoli oscuri ma per ogni vicolo scuro si può attivare altrove una luce, una storia che lo illumini: la struttura a nodi del web protegge l'informazione dall'attacco della censura. Ok la censura c'è anche sul web! Mani in alto, però è molto più fragile della censura esercitata dai mezzi di comunicazione di massa (televisione in primis!). L'autocomunicazione di massa risveglia le coscienze, "fa primavera", permette nuove strategie di mobilitazione e partecipazione che prima non esistevano.

Allora se dobbiamo fare una lista dei rischi io escluderei il tanto temuto rischio che il web contribuisca a rinforzare le gerarchie esistenti per sostituire da quest'ultima frase la voce "rinforzare" con "modificare".
I rischi che inserisco nella lista sono altri e sta a noi, utilizzatori della rete, fare in modo che non diventino la realtà.

  • Slacktivism: attivismo pigro (e purtroppo ne conosco già tanti). Come dicevo prima per i nativi digitali, bisogna che l'azione connettiva porti alla produzione di un'azione collettiva!
  • Omofilia
  • Cyberbalcanizzazione

Ed ecco che dopo aver farfugliato un bel pò cercando di ricomporre una realtà che è tutt'altro che addomesticata, andiamo a scoprire chi sono oggi i nuovi esclusi. Gli esiliati digitali.

DIGITAL DIVIDE O SOCIAL DIVIDE?

Alla base del digital divide ci sono differenze economiche, politiche e infrastrutturali ma anche fattori culturali e sociali:

  • banda larga
  • mobile
  • censure (limitazioni) politiche
  • capacità personali
  • genere
  • apparati culturali

In Italia il giurista Stefano Rodotà, ha proposto di aggiornare l'articolo 21 in questo senso[12]:
"Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale."

Purtroppo non ho il tempo necessario, oggi, per approfondire questo argomento ma spero tanto di avere la possibilità di tornarci. Quello che è fondamentale comprendere, anche qui, è che non si tratta solo di una questione tecnico-tecnologica, ma la tecnologia opera necessariamente in un contesto sociale, culturale, politico che ne influenza l'utilizzo (così come l'accesso).

Per argomentare, restistere, combattere (ed anche ricordare per l'esame) svisceriamo le visioni utopiche e distopiche e poi andiamo a dormire sereni, in fondo è da sempre che il giorno e la notte si danno il cambio.

VISIONE UTOPISTICA: la produzione orizzontale apre nuovi spazi di comunicazione e partecipazione. La peer production rende possibile l'informazione dal basso, non più influenzata dalle classiche forme di gerarchia della politica e dei media, portando alla creazione di una sfera pubblica in rete. Nella società dell'autocomunicazione di massa, gli individui hanno la possibilità di riprogrammare le reti in modo indipendente dalle istituzioni tradizionali. I media digitali si presentano così come portatori di democrazia, giustizia, uguaglianza ed abbondanza economica.

VISIONE DISTOPICA (e distorta):

  1. dubbi sulla capacità che la produzione orizzontale possa produrre un sapere affidabile;
  2. scomparsa dell'argomentazione razionale (omofilia);
  3. polarizzazione del discorso (cyberbalcanizzazione);
  4. scomparsa dell'individuo (l'alienazione post-alienazione);
  5. dubbi sulla sostenibilità economica della peer production (a ben vedere nemmeno il capitalismo è economicamente sostenibile quindi direi che le cause dell'insostenibilità si trovano ben più a monte).
La società dell'informazione rischia di escludere dal potere gli individui che hanno bisogno di una remunerazione materiale per sopravviere (quindi tutti?).
I media digitali si presentano così come una minaccia all'ordine sociale, niente altro che un nuovo strumento di sfruttamento.

Conclusione inconcludente o intelligente?

Quando un antropologo sente la parola "sociologia" diventa subito sospettoso, è inevitabile, eppure la conclusione del libro è in armonia con le riflessioni alle quali mi porta la mia formazione precedente: sintomo di una consapevolezza ormai diffusa della complessità della nostra società, impossibile da ridurre, da rinchiudere in definizioni che non comprendano allo stesso tempo i limiti e le possibilità. Ecco i due concetti chiave per comprendere i media digitali: limite e possibilità.
"Le visioni contrapposte di apocalittici o integrati lasciano poco margine all'azione delle persone per imprimere una direzione alle società ipertecnologiche in cui vivono. Ma anche senza ridurre l'importanza delle scelte politiche, giuridiche o delle grandi imprese private, è possibile suggerire che la direzione che verrà intrapresa dalla società dell'informazione con lo sviluppo e la diffusione del web mobile, della realtà aumentata e della robotica dipenderà in gran parte anche da queste forme di tecnopolitica dal basso."
E poi ci sarebbe ancora tanto da fare, dire, approfondire ma il secondo libro mi aspetta!

Ciao, alla prossima!
A.

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